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Impresa Godzilla
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Impresa Godzilla

Autore: wlf -
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Così...tanto per avere un'idea di Impregilo...lungo ma bello... Pierluigi Sullo [30 Aprile 2009] Un mostro, un’impresa Godzilla, anzi un’Imprezilla. Questo è il titolo di Carta settimanale in edicola da venerdì, su un bel disegno di un mostro meccanico che mastica terra e natura. Di Impregilo si è riparlato a proposito dell’ospedale dell’Aquila, e la magistratura indaga, anche se l’azienda dice di averci fatto solo lavori secondari e non strutturali. Si vedrà. Anche la magistratura di Napoli indaga, sulla lunga e dolorosa [per i cittadini] gestione di rifiuti, i milioni di «ecoballe» che giacciono qua e là e il nuovo inceneritore di Acerra, dove quelle «mondezza» fuorilegge potrà essere bruciate e per la cui realizzazione quelli di Impregilo si sono meritati il titolo di «eroi», che Berlusconi attribuisce come Breznev l’Ordine di Lenin, Anche qui, vedremo. Per la Tav che perfora l’appennino tosco-emiliano, al Mugello, non dobbiamo più aspettare. La magistratura ha condannato Impregilo: i danni ambientali sono stati tanto gravi, che perfino in Italia sono diventati un reato. Sull’enorme ritardo dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria la mega-impresa di costruzioni non ha pagato dazio, e neppure per le inchieste sulle infiltrazioni mafiose. Sul Ponte di Messina è in attesa fiduciosa degli appalti, che invece ha ottenuto per il Passante di Mestre [realizzato cancellando un bel pezzo di Veneto], per il Mose di Venezia e per la futura Pedemontana, l’autostrada killer del lombardo-veneto. Si potrebbe continuare a lungo. E che dire delle «grandi opere» già realizzate in giro per il mondo o che pendono come una minaccia? Prendiamone a caso due, dal bell’articolo in proposito, su Carta, di Sabina Morandi: le 5 dighe del Lesotho Highland Water [Africa meridionale] e le 12 centrali elettriche e 22 dighe nel Kurdistan orientale, in Turchia, Nel primo caso otto transnazionali, tra le quali Impregilo, sono state condannate, su denuncia del governo del Lesotho, per aver versato bustarelle a proposito di due delle dighe. Ma il progetto in generale, che vuole deviare il 70 per cento delle acque del fiume Orange, avrà conseguenze ambientali e sociali drammatiche. Solo per la prima diga sono state deportate 24 mila persone, in gran parte pastori nomadi finiti nelle favelas delle grandi città. Quando al Kurdistan, il progetto costringerebbe a traslocare 78 mila persone, e sommergerebbe Hasankyef, sito archeologico prezioso. Per non parlare del fatto che la Turchia controllerebbe quasi del tutto l’acqua del Tigri e dell’Eufrate, da cui dipendono Siria e Iraq [è proprio vero che le guerre di oggi si combattono più per l’acqua che per il petrolio]. Di nuovo, si potrebbe continuare a lungo. Si potrebbe obiettare: se per una volta una impresa italiana va tanto forte da poter concorrere – in questi giorni – all’allargamento del Canale di Panama, perché lamentarsene? Siete contro il lavoro italiano? Beh, intanto risulta che Impregilo, grazie alla sperimentata tecnica dei sub-sub-sub-appalti, ha in bilancio un costo del lavoro che incide per il 3 per cento, contro il 15-19 per cento delle imprese simili in Europa, e ha un rapporto tra impiegati e operai di 1 a 0,6, contro un rapporto nelle aziende europee di 1 a 6-7. Impregilo è fondamentalmente una «bolla di cemento», come dice Ivan Cicconi, analista del sistema degli appalti. Ma soprattutto l’impressione che Imprezilla dà, a guardarne da vicino le opere, è che le cose si fanno perché Impregilo deve guadagnarci, piuttosto che farle perché servono e, in via secondaria, qualcuno le deve fare. Un tempo proprietà della Fiat, poi della famiglia Romiti [i due figli di Cesare sono sotto inchiesta a Napoli], oggi Impregilo appartiene – con quote del 33 per cento ciascuno – a Benetton, Ligresti e Savio. Mancano solo Caltagirone e De Benedetti, e il panorama sarebbe completo. Sono loro, i padroni del vapore [del cemento e dell’asfalto], sempre gli stessi, che decidono di fatto quella che i politici chiamano «politica delle infrastrutture», la spina dorsale del paese, quel che gli permetterebbe di «competere» e di «crescere». Tocca citare in proposito la signora Marcegaglia, presidente di Confindustria, che in un momento di lucidità ha dichiarato: «A noi servono soprattutto le piccole opere». Magari andremo da Torino a Lione a tutta birra, risparmiando quella mezz’oretta, ma se piove appena un po’ di più franano le colline e i fiumi esplodono, tanto per fare un esempio.

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